Parecchi anni fa mi trovavo nel Ladakh, il Piccolo Tibet.
Stavo visitando il Gompa di Tikse’,ed ero salita assieme ad un monaco che mi faceva da guida, sul tettoterrazza che dominava l’immensa vallata sottostante.
Ammiravo estasiata quel paesaggio fantastico, quando un’immagine terribile mi costrinse a puntare il dito verso l’orizzonte: un fiume era straripato e le sue acque terrose correvano veloci e tumultuose verso il villaggio sottostante.
Ci vollero due giorni di lavoro per ricongiungere il Gompa al villaggio.
Fu cosi’ che per la prima volta i monaci infransero la regola secondo la quale nessuna donna poteva essere ospitata in monastero. Grande privilegio per me, che ebbi l’occasione di vivere due giorni intensi, indimenticabili.
Le giornate scorrevano all’insegna di rituali emozionanti: il rituale della preghiera, il rituale del pranzo, quello del the’.
Incredibile il saluto all’alba: i monaci anziani salivano in terrazza coperti di grandi mantelli rossi, cappelli gialli, enormi come pagode e suonando conchiglie bianche o lunghissime trombe.
Gli allievi piu’ giovani eseguivano al ritmo del respiro movimenti con le braccia, rotazioni del busto, slanci dei piedi in una forma di yoga dinamico. Ancor piu’ incredibile quel tramonto che segno’ uno dei momenti piu’ importanti del mio cammino Yoga: in un’atmosfera da favola, udii uno strano gorgoglio, simile al suono di uno strumento…lo seguii, era la voce di un monaco che, chiuso nella sua cella, recitava Mantra.
La melodia mi inchiodo’ vicino alla porta. Nonostante facessi ricorso alla mia esperienza di Hatha Yoga, lunga di anni, non riuscivo a seguire il ritmo del respiro di quel monaco, che pareva non interrompersi mai, che comunicava un’energia sempre crescente.
Da quel giorno mi costrinsi ad un lavoro piu’ attento sul pranayama , che mi chiari’ definitivamente il significato del respiro come veicolo del prana, l’energia vitale, il principio della vita e della coscienza che permea l’universo tutto.
Pranayama e’ infatti il controllo delle energie individuali e cosmiche attraverso il respiro: yama significa controllo, regolazione, ma ayama significa senza controllo, o meglio superamento del controllo, tramite la coscienza dell’atto che si compie.
Pranayama e’ percio’ una parola con un duplice significato, una parola che indica come attraverso l’autocontrollo si arriva prima alla consapevolezza, poi al superamento dell’io, che si integra infine nella coscienza cosmica, la’ dove lo scambio armonico tra l’io e il mondo fluisce senza bisogno di controllo.
Nell’inspirazione l’energia cosmica entra in noi, nell’espirazione l’energia individuale esce da noi ed entra a far parte del cosmo che ci circonda. Cosi’, attraverso il respiro, noi “scambiamo” continuamente con l’esterno e prendiamo coscienza di essere parte del tutto.
La fase inspiratoria, Puraka, rappresenta la vita; il trattenimento, Kumbaka, rappresenta la coscienza della pienezza di vivere la vita. La fase espiratoria, Rechaka, rappresenta la morte simbolica: il trattenimento a polmoni vuoti.
Bahya Kumbava, rappresenta la coscienza del vuoto, della morte: morire per poi rinascere ad ogni nuovo atto inspiratorio.
Il monaco ladaki meditava in Sabija pranayama, la ripetizione di un Mantra sul respiro, la coscienza di un seme (bija), che si sviluppa e cresce.
L’accompagnare il respiro recitando un Mantra libera la mente da ogni pensiero terreno ed aumenta notevolmente la capacita’ respiratoria: l’espansione del respiro diviene espansione della coscienza.
E’ questa la via che ci offre lo Yoga attraverso le innumerevoli tecniche di Pranayama, innumerevoli come le possibilita’ che l’uomo ha di “cambiare”.
Gabriella Cella